L’Agenzia delle Entrate, in sede di risposta ai quesiti dei contribuenti nell’ambito dell’iniziativa Telefisco 2011, ha fornito tre risposte in materia di normativa sulle società controllate estere ("controlled foreign companies" o "CFC") che potrebbero richiedere una completa rivisitazione della gestione fiscale dei rapporti infra gruppo delle imprese italiane multinazionali od operanti su mercati esteri.

1) La prima risposta riguarda l’applicazione dell’esimente dello svolgimento di attività economica effettiva nel paese di organizzazione della CFC. L’Agenzia aveva chiarito, con la Circolare 51 del 2010, che ai fini dell’applicazione della causa di esclusione occorre che la CFC abbia la prevalenza dei propri fornitori e clienti nel paese in cui essa è costituita.Con la risposta a Telefisco 2011, facendo riferimento a una CFC che svolge attività di produzione, l’Agenzia ha affermato che il fatto che l’attività di produzione sia prevalentemente localizzata nel paese di organizzazione della CFC è un elemento, tra gli altri, ma di per sé solo non decisivo, da prendere in esame per valutare l’applicabilità della causa di escusione.     

2) La seconda risposta riguarda l’applicazione del passive income test ai fini dell’estensione della normativa CFC alle controllate estere organizzate in paesi non black list. A questo proposito, l’Agenzia ha affermato che il reddito derivante dalla prestazione di servizi infragruppo, ivi compresi servizi di lavorazione di merci per conto della casa madre (quali quelli prestati nell’ambito di rapporti di contract manufacturing) rientrano nel novero del passive income che fa potenzialmente scattare l’applicazione della normativa CFC.

3) La terza risposta riguarda l’applicazione del passive income test alle controllate estere che svolgono attività di trading, ovvero acquisto e vendita di prodotti della casa madre o del gruppo italiano, A questo proposito, l’Agenzia, adottando un’interpretazione "sostanzialistica", che assimila in sostanza quest’attività alla prestazione di servizi di vendita di prodotti per conto della casa madre dietro commissione (pari al margine di profitto che resta in capo alla controllata estera), ha affermato che anche il reddito derivante da attività di trading rientra nel novero del passive income che fa scattare l’applicazione della normativa CFC.

In conseguenza delle risposte dell’Agenzia molte imprese italiane con controllate estere che svolgono servizi di trading o lavorazione di prodotti per il gruppo devono seriamente valutare se fare istanza di interpello ai fini della disapplicazione della normativa CFC, in mancanza della quale la normativa CFC potrebbe applicarsi in via automatica con pesanti conseguenze in tema di recupero di reddito imponibile ed applicazione di maggiori imposte e conseguenti sanzioni in Italia.    

Si può ottenere la disapplicazione della normativa CFC qualora si dimostri in sede di interpello che meno del 50% del reddito della controllata estera è passive income oppure che il passive income è soggetto ad un’imposta efttiva estera non inferiore al 50% della corrispondente imposta italiana.